E la chiamano estate

Alton Estate- Roehampton, ovvero la Colli Aniene di Londra (Immagine presa da Wikipedia)

Alton Estate- Roehampton, ovvero la Colli Aniene di Londra
(Immagine presa da Wikipedia)

Sto per consegnare alla redazione di minimum fax la traduzione di Thirst, secondo romanzo della scozzese Kerry Hudson. Se dico che è stato facile tradurlo mi sembra quasi di fare un torto all’autrice, ma mettiamocelo bene in testa: difficile  da tradurre ≠ bello da leggere. Almeno non sempre. Le difficoltà in una traduzione possono essere di vario tipo: citazioni difficili da cogliere e reperire, giochi di parole complicati da rendere in un’altra lingua, scrittura sciatta che se trasportata in italiano (che in letteratura è un po’ una lingua di provincia, nel senso anche buono del termine, le piace vestirsi bene e farsi ammirare, la tuta di felpa e scarpe da ginnastica le donano poco, o molto meno dell’inglese) è ancora più sciatta, riferimenti culturali astrusi, uso di termini ipergergali o dialettali. Non è difficile capire che queste caratteristiche fanno sudare e bestemmiare un traduttore, ma non sono per forza gli ingredienti di un buon libro. Thirst non presenta nessuno di questi elementi, quindi diciamo che tradurlo è stata una bella boccata d’aria. Ma. Il ma c’è. È un libro molto britannico, e quindi nelle descrizioni della vita di ogni giorno inserisce quei micro-realia la cui resa può essere problematica. I realia inglesi o americani sono più complicati da rendere di quelli di lingue e culture che frequentiamo di meno. Certe specificità inglesi o americane ci sembra di conoscerle meglio, perché le vediamo nei film, perché magari siamo stati spesso in questi posti, ci abbiamo vissuto, e quando traduciamo diamo per scontato che il lettore ne sappia quanto noi*.

Mi è venuta l’idea – e spero di riuscirci, visti i tempi stretti e la legge di Murphy elaborata da Ilide Carmignani per cui quando sei sotto consegna ti arrivano le bozze urgentissime di un altro libro che avevi consegnato anche secoli prima – di creare per questo libro un board Pinterest diverso dagli altri, un po’ per addetti ai lavori o per i lettori più curiosi: vorrei spiegare per immagini tutti i micro adattamenti che ho dovuto fare nel tradurre un libro come questo pieno zeppo di quotidiana inglesità. Un esempio per tutti: woodchip wallpaper che il Ragazzini traduce così: “carta da parati in rilievo (con piccole protuberanze in legno)” e che io ho dovuto rendere la prima volta con carta da parati in rilievo e le altre semplicemente con carta da parati. L’elemento delle protuberanze di legno va perso, perché non è fondamentale, ce lo insegna qualsiasi manuale di traduzione che certe perdite vanno messe in conto, sono salutari per l’economia della narrazione, ecc. ecc. Ma sono comunque perdite. E quando leggiamo un libro tradotto, perdi di qua, taglia di là, adatta qui, non mettere una nota lì perché nota = ammissione di sconfitta**, immaginando i luoghi e i dettagli che ci vengono descritti finiamo per figurarceli un po’ troppo simili alle cose che conosciamo già; è giusto che ci sia un cimitero, un museo, di questi caduti ignoti, questi martiri della scorrevolezza che ogni traduzione si porta sulla sua coscienza.

Un termine che ricorre spessissimo in questo libro e che ancora non ho deciso come tradurre è “estate”. La scrittrice lo usa per parlare del posto dove è nato e cresciuto il protagonista maschile: è una zona di palazzoni simile ai nostri quartieri di case popolari. Ma il punto è proprio quello, il simile che non è uguale. Come tradurre questo estate? Quartiere di case popolari? Palazzoni? Periferia? Quartiere e basta? Il problema è che ricorre davvero spesso e non sempre posso tradurlo allo stesso modo. Quindi per ora è rimasto “estate”, evidenziato in giallo, e con vari suggerimenti per la me stessa dell’ultimissima rilettura. Un paio di volte l’autrice lo chiama col suo nome per esteso, Roehampton Estate. Roehampton è una zona di Londra dove ci sono anche quartieri di palazzoni, ma il lettore non è tenuto a saperlo e se lasciassi in inglese Roehampton Estate, ripetendolo per quaranta volte, non credo che chi legge si farebbe quell’immagine lì del quartiere.
Per farla breve, non ho ancora deciso come rendere le ventimila occorrenze di estate, la consegna è lunedì, e devo resistere alla forte tentazione di adattare Roehampton Estate e chiamarla San Basilio o Secondigliano.

* A onor del vero va detto che i traduttori dall’inglese si dividono in due macrocategorie: quelli che pensano che il lettore conosca tutto della cultura britannica e americana e quelli che pensano che il lettore non sappia niente. I più estremisti tra i primi sognano di consegnare una traduzione-non traduzione in cui rimane praticamente tutto in inglese, mentre i più estremisti tra i secondi spiegherebbero e adatterebbero anche il tè delle cinque trasformandolo in pizza Margherita o cornetto e cappuccino.

** Dogma ormai logoro che ha bisogno di essere messo in discussione da un serio movimento di traduttori e redattori eretici.

9 pensieri su “E la chiamano estate

  1. L’immagine dell’italiano letterario (ma direi anche dell’italiano scritto tout court) che ama indossare l’abito buono mi sono permessa di rubartela ieri sera durante la mia lezione (cit.). Perché penso sia un dato di fatto che ci sia da parte di chi scrive, ma soprattutto da parte di chi legge, una sorta di pregiudizio, per cui se la forma non è sufficientemente seria difficilmente potrà esserlo il contenuto. E che dunque nel trasportare determinati testi dall’inglese all’italiano si debba per forza realizzare un’operazione di innalzamento e di nobilitazione della lingua. Le deviazioni da una fantomatica norma destano sconcerto e spesso rifiuto. Ma se in certi ambiti una simile operazione può essere tollerabile, in letteratura non dovrebbe essere consentita, perché tutta questa smania di normalizzazione sta generando un appiattimento desolante. Da cui a stento si salvano le opere di letteratura cosiddetta alta. E allora (per scomodare Montale) “talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, il filo da disbrogliare.”

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