Editori che non pagano, ovvero della solidarietà tra i lavoratori dell’editoria

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Era da tempo che pensavo di cominciare a curare un blog sulla traduzione. Sì, proprio ora che i blog stanno tramontando, ma vabbè.

Quando si traduce capita di fare ragionamenti complessi, a volte anche preziosi perché tornerebbero utili in futuro e ci eviterebbero sprechi di tempo quando ci capiterà di nuovo di affrontare problemi simili. Ma spesso sono cose non verbalizzate, che  scivolano via, si perdono. Vorrei fermare qui, in questo luogo pubblico, quei pensieri, per la mia riflessione futura e per coloro i quali capiteranno qui per caso.

Il primo post di questo blog però non parlerà di questioni traduttologiche, ma di soldi e di editori che non pagano. Tempo fa, io e alcune colleghe lanciammo l’iniziativa “Editori che pagano“. Ora l’iniziativa è ferma, perché per come l’avevamo concepita era complessa da portare avanti. Non escludiamo che possa risvegliarsi e proseguire in una forma più snella. Ma quello che continua è l’impegno dei singoli traduttori nel mettere in guardia i colleghi, gli studenti che frequentano in tanti corsi di formazione e i tanti seminari.

Ricordo che tra le critiche che abbiamo ricevuto all’epoca di “Editori che pagano” (e a proposito, ringrazio tutti coloro che ci hanno dato fiducia e ci hanno contattato per condividere con noi informazioni molto delicate) c’era questa: “Credete davvero che ai lettori importi sapere che una casa editrice non paga i traduttori/redattori/illustratori o che li paga in ritardo? Pensate davvero che i lettori boicotterebbero gli editori insolventi?”
Non a tutti importerebbe e non tutti boicotterebbero una casa editrice per questo motivo. Ma non è un motivo sufficiente per non agire. Chi vuole sapere oggi ha i mezzi per informarsi.

Noi lavoratori dell’editoria, noi che non siamo imprenditori e che non vogliamo e non dobbiamo partecipare al rischio d’impresa, noi che siamo professionisti seri e passiamo notti insonni tra i sensi di colpa e e-mail di scuse quando siamo in ritardo sulla consegna non abbiamo scelta:

– dobbiamo divulgare tra i nostri colleghi i nomi di chi non paga, per evitare ad altri le nostre disavventure;
– se ne abbiamo la possibilità, è giusto informare anche gli autori e i loro gli agenti, nonché eventuali enti che erogano fondi per la traduzione;
– dobbiamo rivolgerci a un avvocato (anche se la cosa ci sembra economicamente svantaggiosa) e pretendere quello che ci spetta;
– non dobbiamo accettare di lavorare per editori che devono soldi ad altri nostri colleghi da mesi se non da anni;
– non dobbiamo giocare al ribasso accettando per pochi euro lavori che altri colleghi hanno rifiutato.

È una questione di dignità nonché di senso pratico.

Chi accetta di lavorare per un editore che ha la fama di pagare poco, in ritardo, o di non pagare proprio non lo fa perché ha bisogno di lavorare, non lo fa perché ha bisogno di soldi. Lo fa proprio perché evidentemente non ne ha bisogno.

Lavorare per chi non paga non aiuta i principianti a entrare nel mondo dell’editoria, non porta visibilità, non porta altro lavoro. Porta solo male.  Porta danno a chi accetta di farlo e a tutta la categoria. È ora di smetterla.

21 pensieri su “Editori che non pagano, ovvero della solidarietà tra i lavoratori dell’editoria

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  2. Se tutti denunciassero le porcherie e rifiutassero le briciole, la qualità del lavoro sarebbe migliore. Per tutti, guarda un po’! Certo, ci saranno sempre i furbetti, quelli che falliscono e riaprono con nome altro liberandosi delle fatture e dei mestieranti rognosi che, vigliacchi, pretendono di essere pagati… ma sarebbero pochi, sarebbero sempre meno.
    Leggerò con gioia.
    Chiara

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  3. Sono d’accordissimo: il problema è che nel mondo dell’editoria non c’è proprio più etica, né ricerca della qualità – e che dietro l’angolo sono sempre in agguato ‘sgradite sorprese’ anche da parte delle case editrici con cui si è sempre lavorato almeno decentemente. Sul comportamento di certi colleghi poi ho smesso di crucciarmi per non lasciarci il fegato… Comunque, se si può fare qualcosa, ci sono!

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    • Ciò che lei dice, mi fa pensare e temere che si sia al capolinea: un inarrestabile declino culturale, un imbarbarimento senza ritorno, che si riflette sulla scarsa esigenza culturale per un linguaggio corretto, sul nessun peso economico della qualità della scrittura, sia essa derivata dal tradurre o dal comporre artisticamente o scientificamente, dalla scomparsa dei seri aggiornamenti anche nella Treccani, dall’ingorgo di raccomandati persino dentro l’accademia della crusca (scritto in minuscolo), dalla nessuna richiesta da parte del pubblico di una proprietà di linguaggio e censura verso refusi ed aberrazioni espressive del linguaggio nei media e nella classe politica e persino nella scuola, ecc. Senza parlare degli sprechi e dei furti e delle malversazioni nella prassi quotidiana fra individui e gruppi d’individui.

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  5. Signori, non c’è più etica da nessuna parte! Non pagano, o c’è il rischio che non paghino, in tutti i settori ed ambienti lavorativi. Se la cavano solo gli impiegati pubblici, che hanno uno stipendio garantito. Per gli altri, solo rischio e tanta rabbia.

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  6. Il dominio del denaro, del Dio denaro all’americana, ha portato l’Italia allo stallo, al blocco delle transazioni, all’insicurezza generalizzata, all’ingorgo delle funzioni (vedi la giustizia) più importanti, dello Stato di diritto. Solo piazze e strade piene da mane a sera di gente normale che protesta e non se ne vuol più andare via, dandosi il turno per resistere, potrà smantellare questa forma governativa che di fatto ha instaurato la dittatura. Quarant’anni di corruzione e menzogne vengono ormai a galla, e quarant’anni sono davvero tanti, nel corso della storia delle comunità umane! C’è ormai il rischio concreto che l’Italia si sfasci e finisca a picco dimentica dei valori delle generazioni passate. Si: ora questo rischio è concreto e reale.

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  7. Grazie a tutti per i commenti e scusate la lentezza nella risposta. La situazione non è rosea in generale, è vero, ma l’unico modo perché la realtà cambi in meglio (quello che ognuno di noi ritiene il meglio, certo), è impegnarsi in prima persona con coerenza, perché le recriminazioni da sole portano poco lontano.

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  8. Complimenti per la denuncia e per le tue riflessioni. Nelle mondo delle imprese è molto simile al settore dell’editoria, risparmio è diventata la parola d’ordine da circa 6 anni. Senza parlare della concorrenza di Google Traduttore! Quei cinque punti della tua dichiarazione devono diventare la regola di chi vuole difendere la professione del traduttore e la qualità delle parole.

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  9. Io dall’avvocato sono andata, perdendo altri soldi (oltre quelli non avuti per il lavoro svolto).
    300 euro al mese per stare in redazione li ho rifiutati, ma il mio posto è stato immediatamente preso da una non laureata mantenuta a Roma grazie alla pensione (d’oro) del padre…

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    • Ciao Emi. Si trattava di una traduzione non pagata o di altro? E in che senso hai perso i soldi? Hai perso la causa o l’hai vinta ma la casa editrice non ha pagato lo stesso?
      Mi dispiace che il tuo posto sia stato preso da un’altra persona, ma sinceramente, si può invidiare una persona che pensa – o che accetta che altri decidano – che il suo lavoro di un mese vale 300 euro? Direi proprio di no. Fa pena lei e fa pena la casa editrice, sinceramente.

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      • Ciao. Traduzione non pagata. Ho perso soldi perché ci sono le spese legate alla traduzione, il lavoro non pagato, le spese legali. E sì, ho un’ordinanza del tribunale, ma è stato come non averla.
        No, non provo invidia, anzi. Non ho stima di sicuro, confermavo quanto scritto nel post: questo comportamento porta danno.
        Grazie per lo spazio e in bocca al lupo!

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  10. Pingback: La correttezza paga; e se non paga sei fuori | Holden & Company

  11. La vostra iniziativa è molto bella e ha un valore inestimabile in un mondo in perenne crisi come l’editoria. Io sono una piccola imprenditrice, ho aperto da poco una casa editrice digitale; un progetto molto ambizioso che spero mi ripagherà del tempo, della fatica e dei soldi investiti fino ad oggi. Credo che darsi da fare per risvegliare le coscienze dei lettori sia fondamentale per la ripresa di questo settore e per la crescita e la realizzazione di un nuovo paradigma, che più si adatta ai tempi che corrono. Se tutti sapessero quanto lavoro viene impiegato per la realizzazione di un libro, in tutte le sue fasi, e ne cogliessero il valore, lavorare nell’editoria sarebbe davvero un lavoro appagante, perché chi lo fa è animato da una grandissima passione, ma ha anche un corpo che vuole mangiare e delle bollette da pagare.

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