Ancora tu? Ma non dovevamo rivederci più?

Madeleine e tè (the cat is under the table).

Madeleine e tè (the cat is under the table).

L’arrivo del file rivisto è sempre un momento delicato per un traduttore. Spesso sono passati mesi dalla consegna, e per un traduttore la consegna coincide psicologicamente con una separazione faticosa e una liberazione. Per cui, quando il file ritorna, visto e maneggiato da un’altra persona, non è che facciamo proprio i salti di gioia, pur sapendo che è un passaggio assolutamente imprescindibile: non possiamo mandare in stampa a nostro nome un libro con delle modifiche non approvate da noi o peggio ancora che non ci vengono nemmeno comunicate.  Le revisioni sono le nostre madeleine (che non di rado introzano un po’): rileggi un file vecchio di mesi e ti ricordi dov’eri quando hai scelto una parola piuttosto che un’altra*, come ti sentivi, cosa facevano gli altri attorno a te, gli odori, i sapori, i giramenti di scatole. In questi giorni sto rivedendo la revisione di The Rachel Papers di Martin Amische ho consegnato quest’estate (e che ora so s’intitolerà Il dossier Rachel). Apro il file e mi ritornano su tutti i ricordi: l’inizio della traduzione, subito dopo la consegna di un altro libro di oltre cinquecento pagine, nel pieno della varicella, le notti insonni delle riletture finali, anche quella prima della partenza per le vacanze, l’illusione di potercela fare, l’ammissione della sconfitta, la fine della rilettura durante le vacanze nelle mattine piovose a Dublino (tanto pioveva, dove cavolo andavamo?), le ultime domande agli amici madrelingua che ti rispondevano immancabilmente: “no, questa frase non significa niente nemmeno per me”. Però, grazie al cielo, rivedere questa revisione è meno doloroso di come mi sarei aspettata perché il lavoro che ci ha fatto su Grazia Giua è un lavoro come Cristo comanda. Sono stata fortunata e spesso ho collaborato con revisori come Cristo comandava. Vorrei nominarne due su tutti: Isabella Zani, perché mi ha “aggiustato” (eufemismo) una traduzione che avevo consegnato in condizioni pietose, molto al di sotto dei miei standard di decenza (per un accavallarsi di consegne, ma non è lo stesso una scusa) e Martina Testa, perché me ne ha riviste tante e le sue revisioni sono state sempre, immancabilmente, perfette. Di recente sono stata contattata da una casa editrice con cui non avevo mai lavorato. La redattrice, scusandosi, mi ha detto che prima di assegnarmi la traduzione voleva che io le spedissi una prova**. Io non solo non mi sono offesa, ma l’ho trovata una cosa giustissima. Non ci conosciamo ed è giusto che ci osserviamo e ci prendiamo le misure a vicenda. Io potrei non essere la traduttrice che fa al caso tuo e tu potresti essere il revisore dei miei incubi, quindi è giustissimo chiedere prove di traduzione. Sono scocciature nell’immediato, non lo nego, ma ti salvano da scocciature maggiori in futuro. Può essere la casa editrice a dire che non è soddisfatta di te, ma puoi essere anche tu a dire, no vi ringrazio, avete una visione della traduzione che non condivido. Lavorare con persone con cui non si è in sintonia, non avere una visione condivisa di come va impostato il lavoro, un progetto comune sul libro che uscirà, è peggio che perdere un contratto e un committente, molto peggio. Com’è dunque una revisione ben fatta? Mi viene più facile spiegarlo in negativo, dicendo com’è invece una revisione fatta male. Di revisioni fatte male me ne sono capitate pochissime, per fortuna. Ma, comunque, ecco qui alcune tipologie di revisori from hell:

1) il revisore*** sinonimizzatore compulsivo: tu scrivi “faccia” e lui ti corregge con “viso”, tu scrivi “grazie” e lui “ti ringrazio” e così via. Se gli chiedi perché, se va bene ti risponde con un generico “mi suona meglio”, se va male ti dice (true story): “la parola X mi sta antipatica, non la uso mai” (dove la parola X è una parola innocentissima, normalmente usata nella lingua italiana).

2) il revisore Ponzio Pilato: ti evidenzia una parola o una frase commentando con “non mi convince”, “non mi piace”, ma non ti dice perché, né ti propone un’alternativa.

3) Il revisore noio volevon savuar. Non conosce bene la lingua da cui rivede ed evidentemente non perde nemmeno tempo a cercare sul vocabolario. E tu invece perdi ore a spiegare ogni due sue correzioni perché quel suo intervento è sbagliato, e che no, quella parola non significa quello che pensa lui, ma quello che avevi scritto tu. E dentro di te piangi, perché pensi: se davvero ho tradotto fischi per fiaschi questo qui non se n’è certo accorto.

4) Il mio nome è Legione. Più di un revisore, ognuno che vede solo il suo pezzo, nessuno che si coordina con l’altro revisore, un dramma che si moltiplica esponenzialmente con il moltiplicarsi dei revisori scoordinati: questo, credetemi, è l’inferno.

5) Il revisore panta rei. Va a senso, non controlla o se ne frega del testo di partenza. Decide in base a quello che suona o quello che non suona bene in italiano, adora il falso dio della scorrevolezza e se ne sbatte se l’originale è un ciocco di legno: per lui l’unica cosa che conta è che l’italiano scorra.

6) Il revisore invisibile. È un nemico subdolo, che ti uccide senza che te ne accorgi. Tu vedi il file con pochi interventi e pensi (soprattutto se sei un traduttore alle prime armi o con un’autostima bassissima): che bello, ho consegnato un lavoro perfetto. In realtà quel revisore, per motivi suoi che non potremo mai sapere (imperizia, pigrizia, tentativo di sabotaggio) non ha proprio messo mano alla tua traduzione, che andrà in stampa con una scarpa e una ciabatta.

Con questo non voglio minimamente denigrare l’opera dei revisori (occasionalmente io stessa rivedo traduzioni altrui) e sono anzi consapevolissima della sua importanza. Il revisore è una figura chiave nel processo di lavorazione di un libro tradotto, e purtroppo ancora più oscura, mal pagata e bistrattata di quella del traduttore, ed è un peccato. Va scelta, pagata e valorizzata molto di più. Sarebbe bello, ma so che è un’utopia, poterne conoscere l’identità fin da subito, per poterlo consultare su scelte importanti in corso d’opera, per aggiustare il tiro e ottimizzare tempi e risorse.

* Questo è un uso avversativo e non disgiuntivo del piuttosto, non vi scaldate.

** Spesso sono gratuite. Di recente mi è capitato che mi chiedessero di fare una prova retribuita, ma purtroppo non ho potuto farla perché la data di consegna coincideva con quella di un lavoro già iniziato. Ma è bello comunque sapere che c’è chi paga le prove di traduzione.

*** Uso il maschile per pigra comodità.

6 pensieri su “Ancora tu? Ma non dovevamo rivederci più?

  1. Ho apprezzato molto questo “post” e, oggi, con il giusto distacco (l’esperienza attiva/passiva serve anche a questo ;)), la descrizione del “revisore accanito” (di qualunque tipologia si tratti) mi ha fatto anche sorridere parecchio! 🙂 Grazie! Martina

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